La parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Si nota a tavola l’unità o la disunità di una famiglia: “una famiglia che non mangia quasi mai insieme, o in cui a tavola non si parla ma si guarda la televisione, o lo smartphone, è una famiglia ‘poco famiglia’. Quando i figli a tavola sono attaccati al computer, al telefonino, e non si ascoltano fra loro, questo non è famiglia, è un pensionato (…) Dobbiamo trovare il modo di recuperarla : a tavola si parla, a tavola si ascolta. Niente silenzio, quel silenzio che non è il silenzio delle monache, è il silenzio dell’egoismo: ognuno ha la sua, o la televisione o il computer… e non si parla. No, niente silenzio. Recuperare quella convivialità familiare pur adattandola ai tempi”.
E’ il richiamo del Papa nella sua catechesi familiare durante l’udienza di mercoledì 11 novembre.
Oggi sembra che la convivialità “sia diventata una cosa che si compra e si vende”. E lo stesso nutrimento, poi, “non è sempre il simbolo di una giusta condivisione dei beni, capace di raggiungere chi non ha né pane né affetti”. Infatti “quando non c’è convivialità c’è egoismo, ognuno pensa a se stesso. Tanto più che la pubblicità l’ha ridotta a un languore di merendine e a una voglia di dolcetti. Mentre tanti, troppi fratelli e sorelle rimangono fuori dalla tavola. E’ una vergogna un po’ vergognoso, no?”. Al contrario “e tutti lo sanno”, chi possiede una “speciale vocazione” alla convivialità è proprio il cristianesimo. Fu “a cena” che Gesù consegnò il suo “testamento spirituale”, condensato “nel gesto memoriale del suo sacrificio” per tutti. “Davvero non c’è divisione che possa resistere a questo Sacrificio di comunione; solo l’atteggiamento di falsità, di complicità con il male può escludere da esso. Ogni altra distanza non può resistere alla potenza indifesa di questo pane spezzato e di questo vino versato, Sacramento dell’unico Corpo del Signore”. Da questo modello discende l’“icona” più bella della famiglia, quella riunita attorno alla “mensa domestica” che sperimenta la condivisione delle vite dei propri membri: “quali miracoli possono accadere quando una madre ha sguardo e attenzione, accudimento e cura per i figli altrui, oltre che per i propri !” Ora si può “ben dire che la famiglia è ‘di casa’ alla Messa, proprio perché porta all’Eucaristia la propria esperienza di convivialità e la apre alla grazia di una convivialità universale, dell’amore di Dio per il mondo”, segnato “da tante chiusure e troppi muri”. E’ proprio “l’Eucaristia di una Chiesa di famiglie, capaci di restituire alla comunità il lievito operoso della convivialità e dell’ospitalità reciproca” a diventare “una scuola di inclusione umana che non teme confronti! Non ci sono piccoli, orfani, deboli, indifesi, feriti e delusi, disperati e abbandonati, che la convivialità eucaristica delle famiglie non possa nutrire, rifocillare, proteggere e ospitare”.
All’Angelus domenica 15 novembre il Papa ha espresso il suo “profondo dolore per gli attacchi terroristici” che venerdì 13 “hanno insanguinato la Francia”. Lascia sgomenti l’uso di “tanta barbarie” e “ci si chiede come possa il cuore dell’uomo ideare e realizzare eventi così orribili, che hanno sconvolto non solo la Francia ma il mondo intero. Dinanzi a tali atti intollerabili, non si può non condannare l’inqualificabile affronto alla dignità della persona umana. Voglio riaffermare con vigore che la strada della violenza e dell’odio non risolve i problemi dell’umanità e che utilizzare il nome di Dio per giustificare questa strada è una bestemmia!”. Ha poi esortato a pregare chiedendo a Maria di proteggere la Francia e il mondo intero.
Riferendosi al Vangelo domenicale, ha ricordato che “la nostra meta finale è l’incontro con il Signore risorto”, poiché “non attendiamo un tempo o un luogo, ma andiamo incontro a una persona: Gesù. Pertanto, il problema non è ‘quando’ accadranno i segni premonitori degli ultimi tempi, ma il farsi trovare pronti all’incontro. E non si tratta nemmeno di sapere ‘come’ avverranno queste cose, ma ‘come’ dobbiamo comportarci, oggi, nell’attesa di esse. Siamo chiamati a vivere il presente, costruendo il nostro futuro con serenità e fiducia in Dio”.
Di qui il richiamo alla speranza “la più piccola delle virtù, ma la più forte”, che  ha “il volto del Signore risorto, che viene ‘con grande potenza e gloria’, che cioè manifesta il suo amore crocifisso trasfigurato nella risurrezione. Il trionfo di Gesù alla fine dei tempi sarà il trionfo della Croce, la dimostrazione che il sacrificio di sé stessi per amore del prossimo, ad imitazione di Cristo, è l’unica potenza vittoriosa e l’unico punto fermo in mezzo agli sconvolgimenti e alle tragedie del mondo”.
Gesù è accanto noi, sempre ci accompagna, ci vuole bene, perché “è una presenza costante nella nostra vita” e per questo quando parla del futuro “è sempre per ricondurci al presente”. Così “si pone contro i falsi profeti, contro i veggenti che prevedono vicina la fine del mondo, e contro il fatalismo. Vuole sottrarre i suoi discepoli di ogni epoca alla curiosità per le date, le previsioni, gli oroscopi, e concentra la nostra attenzione sull’oggi della storia… Ci richiama all’attesa e alla vigilanza, che escludono tanto l’impazienza quanto l’assopimento, tanto le fughe in avanti quanto il rimanere imprigionati nel tempo attuale e nella mondanità”.
E’ necessario soltanto guardare Gesù e Lui ci cambia il cuore: “tutto passa; soltanto la sua Parola rimane come luce che guida e rinfranca i nostri passi e ci perdona sempre perché è accanto a noi”.
Anche nella visita (nel pomeriggio di domenica) alla Comunità Luterana di Roma il Papa ha fatto riferimento agli attentati di Parigi, invitando a guardare a Cristo e al comune Battesimo come via per superare lo scandalo della divisione.
Conversando con i presenti ha confidato di amare di “fare il Papa con lo stile del parroco: come servizio. Mi sento bene quando visito gli ammalati, quando parlo con le persone che sono un po’ disperate, tristi. Parlare con i carcerati. Ogni volta che io entro in un carcere, domando a me stesso: perché loro e io no?”. Chiedendo perdono per “lo scandalo della divisione”, ha invocato la “grazia di una diversità riconciliata nel Signore, quel Dio che è venuto da noi per servire e non per essere servito (…) alla riscoperta del perdono di Dio e della bellezza dell’amore per i fratelli.”
Gian Paolo Cassano

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