LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
È stata dedicata al dialogo interreligioso l’udienza generale di mercoledì 18 ottobre, nel giorno esatto in cui (50 anni fa) Paolo VI firmava la “Nostra aetate”, il documento conciliare sul dialogo con le religioni non cristiane. L’udienza, cui hanno preso parte esponenti di varie fedi, è stata introdotta da due saluti dei cardinali Kurt Koch e Jean-Louis Tauran, a capo rispettivamente dei dicasteri dell’Unità dei Cristiani e del Dialogo Interreligioso, con qualche minuto di una preghiera silenziosa e comune e gli abiti di varia foggia a testimoniare la prossimità tra fedi diverse accanto al Papa. Il Papa ha spiegato perché quel testo conciliare abbia cambiato per sempre l’approccio della Chiesa con le altre fedi, in particolare il rapporto tra cristiani ed ebrei: “da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli. Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra ætate, “ha tracciato la via: ‘sì’ alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; ‘no’ ad ogni forma di antisemitismo e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano”. Così “la Chiesa guarda con stima i credenti di tutte le religioni” e ne apprezza “l’impegno spirituale e morale”, una collaborazione a tutto campo per la pace, la lotta contro la miseria, la corruzione, il degrado ambientale e soprattutto contro la violenza. “Noi credenti non abbiamo ricette per questi problemi, ma abbiamo una grande risorsa: la preghiera. E noi credenti preghiamo. Dobbiamo pregare. La preghiera è il nostro tesoro, a cui attingiamo secondo le rispettive tradizioni, per chiedere i doni ai quali anela l’umanità”. Certamente nessuna religione “è immune dal rischio di deviazioni fondamentalistiche o estremistiche”, ma si tratta “di alzare lo sguardo e di andare avanti” verso un tipo di dialogo che sia “aperto e rispettoso”, che è “condizione e, nello stesso tempo, fine del dialogo interreligioso (…) Il dialogo basato sul fiducioso rispetto può portare semi di bene che a loro volta diventano germogli di amicizia e di collaborazione in tanti campi, e soprattutto nel servizio ai poveri, ai piccoli, agli anziani, nell’accoglienza dei migranti, nell’attenzione a chi è escluso. Possiamo camminare insieme prendendoci cura gli uni degli altri e del creato. Tutti i credenti di ogni religione”. Un’attenzione specie alle fasce più deboli, che avrà un’“occasione propizia” nell’Anno Santo; è una misericordia che “abbraccia tutto il creato, che Dio ci ha affidato perché ne siamo custodi, e non sfruttatori o, peggio ancora, distruttori. Dovremmo sempre proporci di lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato”. E’ un lavoro di comune accordo: “siamo fratelli! Senza il Signore, nulla è possibile; con Lui, tutto lo diventa! Possa la nostra preghiera – ognuno secondo la propria tradizione – possa aderire pienamente alla volontà di Dio, il quale desidera che tutti gli uomini si riconoscano fratelli e vivano come tali, formando la grande famiglia umana nell’armonia delle diversità”.
Domenica 1 novembre, nella solennità di Tutti i Santi, all’Angelus, ha reso omaggio ai santi “della porta accanto”, esempi vivi e coraggiosi da imitare nella vita quotidiana. I Santi sono “persone che appartengono totalmente a Dio”, cosi come li presenta il libro dell’Apocalisse: “una moltitudine immensa di ‘eletti’” che sono “segnati dal sigillo di Dio”. Per questo occorre essere “consapevoli di questo grande dono”, di essere figli di Dio! “Per dirlo in un modo semplice: portiamo il cognome di Dio, il nostro cognome è Dio, perché siamo figli di Dio. Qui sta la radice della vocazione alla santità!” Poi l’invito a guardare ai Santi come “esempi da imitare”, perché “con la grazia di Dio, si sono sforzati di praticare il Vangelo nell’ordinarietà della loro vita.” Sono “esempi vivi e contagiosi del modo di vivere e di morire”, fedeli a “Gesù e al suo Vangelo”. Occorre imitare i loro gesti d’amore e misericordia, con “un atto di tenerezza, un aiuto generoso, un tempo passato ad ascoltare, una visita, una parola buona, un sorriso… Ai nostri occhi questi gesti possono sembrare insignificanti, ma agli occhi di Dio sono eterni, perché l’amore e la compassione sono più forti della morte”. Poi ha rivolto un appello per la pace il Centrafrica, attraversato da una nuova ondata di violenze interreligiose e interetniche, con l’auspicio che tutti “siano testimoni di misericordia e di riconciliazione” e l’intenzione domenica 29 novembre “di aprire la porta santa della cattedrale di Bangui, durante il Viaggio apostolico che spero di poter realizzare in quella Nazione.”
Gian Paolo Cassano
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