LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
La Chiesa e il mondo hanno bisogno di essere animati dallo “spirito familiare”, che mette in luce la parte migliore di ogni convivenza, civile ed ecclesiale. Lo ha affermato il Papa all’udienza generale di mercoledì 7 ottobre. Sulle rive del lago dell’umanità la Chiesa non può continuare a pescare con le sue “vecchie reti”, quelle usate finora, ma ha bisogno di una dose massiccia di “spirito familiare”, perché la rete di rapporti e valori che tiene unita una famiglia è tuttora la migliore forma di “convivenza civile”, che scienza e tecnica non hanno saputo né imitare né superare. Il Papa accompagna così con la sua catechesi familiare i lavori del Sinodo dei vescovi, riflettendo sul legame “indissolubile”, tra Chiesa e famiglia. “Uno sguardo attento alla vita quotidiana degli uomini e delle donne di oggi mostra immediatamente il bisogno che c’è ovunque di una robusta iniezione di ‘spirito famigliare’. Infatti, lo stile dei rapporti – civili, economici, giuridici, professionali, di cittadinanza – appare molto razionale, formale, organizzato, ma anche molto ‘disidratato’, arido, anonimo. Diventa a volte insopportabile. Pur volendo essere inclusivo nelle sue forme, nella realtà abbandona alla solitudine e allo scarto un numero sempre maggiore di persone”. Ed è la famiglia ad introdurre “al bisogno dei legami di fedeltà, sincerità, fiducia, cooperazione, rispetto; incoraggia a progettare un mondo abitabile e a credere nei rapporti di fiducia, anche in condizioni difficili; insegna ad onorare la parola data, il rispetto delle singole persone, la condivisione dei limiti personali e altrui. E tutti siamo consapevoli della insostituibilità dell’attenzione famigliare per i membri più piccoli, più vulnerabili, più feriti, e persino più disastrati nelle condotte della loro vita”. Purtroppo alla famiglia non si dà “il dovuto peso – e riconoscimento, e sostegno – nell’organizzazione politica ed economica della società contemporanea” che, “con tutta la sua scienza e la sua tecnica”, non appare di essere “in grado di tradurre queste conoscenze in forme migliori di convivenza civile”. La Chiesa “individua oggi, in questo punto esatto, il senso storico della sua missione a riguardo della famiglia e dell’autentico spirito famigliare, incominciando da un’attenta revisione di vita, che riguarda sé stessa”. Così “si potrebbe dire che lo ‘spirito famigliare’ è una carta costituzionale per la Chiesa: così il cristianesimo deve apparire, e così deve essere (…) Potremmo dire che oggi le famiglie sono una delle reti più importanti per la missione di Pietro e della Chiesa. Non è una rete che fa prigionieri, questa! Al contrario, libera dalle acque cattive dell’abbandono e dell’indifferenza, che affogano molti esseri umani nel mare della solitudine e dell’indifferenza. Le famiglie sanno bene che cos’è la dignità del sentirsi figli e non schiavi, o estranei, o solo un numero di carta d’identità”.
Domenica 11 ottobre, all’Angelus, Francesco ha ricordato come fede ed attaccamento alle ricchezze non possano convivere, ma non c’è ostacolo a una vita di fede se ci si affida a Gesù.
Commentando il vangelo del giovane ricco, ha parlato di “tre scene scandite da tre sguardi”. Nella prima il giovane ricco corre da Gesù per chiedergli cosa debba fare per “avere in eredità la vita eterna, cioè la felicità”: ed ecco il primo sguardo, “intenso pieno di tenerezza e affetto” che Gesù rivolge al giovane prima di indicargli cosa fare per seguirlo: vendere anzitutto i suoi averi e dare il ricavato ai poveri. Ma questo sguardo di Gesù non tocca il cuore del giovane, poiché “ha il cuore diviso tra due padroni, Dio e il denaro”. Quel “giovane non si è lasciato conquistare dallo sguardo di amore di Gesù, e così non ha potuto cambiare. Solo accogliendo con umile gratitudine l’amore del Signore ci liberiamo dalla seduzione degli idoli e dalla cecità delle nostre illusioni. Il denaro, il piacere, il successo abbagliano, ma poi deludono: promettono vita, ma procurano morte. Il Signore ci chiede di distaccarci da queste false ricchezze per entrare nella vita vera, la vita piena, autentica, luminosa”. La risposta di Gesù al giovane sconcerta anche gli Apostoli. A loro il Maestro rivolge il secondo e il terzo sguardo della seconda scena, “uno sguardo pensoso, di avvertimento” e “di incoraggiamento” Gesù “dice: la salvezza è, sì, ‘impossibile agli uomini, ma non a Dio!’. Se ci affidiamo al Signore, possiamo superare tutti gli ostacoli che ci impediscono di seguirlo nel cammino della fede”. La terza scena non ha sguardi ma contiene una verità spiegata da Gesù: il “centuplo” da Lui promesso a chi lascia tutto per seguirlo “è fatto dalle cose prima possedute e poi lasciate, ma che si ritrovano moltiplicate all’infinito. Ci si priva dei beni e si riceve in cambio il godimento del vero bene; ci si libera dalla schiavitù delle cose e si guadagna la libertà del servizio per amore; si rinuncia al possesso e si ricava la gioia del dono”. Di qui l’invito ai giovani: “avete sentito lo sguardo di Gesù su di voi? Cosa volete rispondergli? Preferite lasciare questa piazza con la gioia che ci dà Gesù o con la tristezza nel cuore che la mondanità ci offre?”
Gian Paolo Cassano
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