LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
I genitori riassumano il loro ruolo educativo, perché i figli crescano nella responsabilità di sé e degli altri. E’ ancora sulla famiglia l’insegnamento del Papa nell’udienza dello scorso mercoledì 20 maggio.
Nell’educare i figli, “è ora che i padri e le madri ritornino” dall’esilio e riassumano “pienamente” il loro ruolo affinché i giovani “crescano nella responsabilità di sé e degli altri”. È l’esortazione ad un rapporto tra genitori e figli segnato da “saggezza” ed “equilibrio”, con i figli che obbediscono ai genitori (perché “ciò piace a Dio”) ed i genitori che non esasperano i figli. Certo oggi “non mancano le difficoltà”, perché “è difficile educare per i genitori che vedono i figli solo la sera, quando ritornano a casa stanchi di lavorare. Quelli che hanno la fortuna di avere lavoro! E’ ancora più difficile per i genitori separati, che sono appesantiti da questa loro condizione”. In questi casi, “tante volte”, succede che “il figlio è preso come ostaggio”, con i genitori che parlano “male” l’uno dell’altro. D’altra parte, si è “aperta una frattura tra famiglia e società, tra famiglia e scuola”, perché il “patto educativo” si è rotto. “L’alleanza educativa della società con la famiglia è entrata in crisi perché è stata minata la fiducia reciproca”.
Oggi “intellettuali ‘critici’ di ogni genere” hanno “zittito” i genitori in mille modi, parlando addirittura di “danni dell’educazione familiare”, accusando la famiglia “di autoritarismo, di favoritismo, di conformismo, di repressione affettiva che genera conflitti”, con i genitori costretti solo ad “ascoltare, imparare e adeguarsi” ai “cosiddetti esperti”. Sono questi che “hanno occupato il ruolo dei genitori anche negli aspetti più intimi dell’educazione”, facendo sì che padri e madri, “appesantiti”, arrivassero a non correggere “mai” i figli .
Certo, alcuni “modelli educativi del passato” avevano dei limiti, ma “ci sono sbagli che solo i genitori sono autorizzati a fare”, perché possono compensarli con l’amore, “quello che Dio ci dona”. Purtroppo oggi “la vita è diventata avara di tempo per parlare, riflettere, confrontarsi”, perché molti genitori sono “sequestrati dal lavoro” ed “imbarazzati dalle nuove esigenze dei figli e dalla complessità della vita attuale”: quindi “si trovano come paralizzati dal timore di sbagliare”. Occorre tanta pazienza “anche nelle migliori famiglie. (…) Tanta pazienza per sopportarsi. Ma è così la vita! La vita non si fa in laboratorio, si fa nella realtà. Lo stesso Gesù è passato attraverso l’educazione familiare”.
Nella S. Messa di Pentecoste domenica 24 maggio il Pontefice ha rivolto una forte esortazione ad accogliere i doni dello Spirito Santo, ricordando nell’omelia che, così come accadde agli apostoli, anche oggi lo Spirito guida alla verità, rinnova la terra e dà i suoi frutti.
“La Parola di Dio, specialmente quest’oggi, ci dice che lo Spirito opera nelle persone e nelle comunità che ne sono ricolme: guida a tutta la verità, rinnova la terra e dà i suoi frutti”.
Questi i tre aspetti fondamentali dell’azione dello Spirito. Prima di tutto “guida alla verità” e che la morte di Gesù non è la sua sconfitta, ma l’espressione estrema dell’amore di Dio, amore che vince la morte ed esalta Gesù, come il Vivente, il Signore, il Redentore dell’uomo, della storia e del mondo. Questa è la Buona Notizia da annunciare a tutti. Poi ancora: il dono dello Spirito Santo che “rinnova la terra”, riflettendo il rapporto tra l’uomo ed il mondo che ci circonda. “Il rispetto del Creato è un’esigenza della nostra fede: il ‘giardino’ in cui viviamo non ci è affidato perché lo sfruttiamo, ma perché lo coltiviamo e lo custodiamo con rispetto”.
Infine, è fondamentale aprirsi allo Spirito che “dà i suoi frutti”. Solo se l’uomo abbandona i particolarismi e gli egoismi, che bloccano l’azione della grazia di Dio, “lascia irrompere in sé lo Spirito di Dio e i suoi doni” che “sono stati elargiti in abbondanza alla Chiesa e a ciascuno di noi, perché possiamo vivere con fede genuina e carità operosa, perché possiamo diffondere i semi della riconciliazione e della pace, capaci di lottare senza compromessi contro il peccato e la corruzione e di dedicarci con paziente perseveranza alle opere della giustizia e della pace”.
Al Regina Coeli ha pregato per i “numerosi profughi nel Golfo del Bengala e nel mare di Andamane” parlando di quella ‘strage inutile’ che fu la Grande guerra e dei nuovi beati (mons. Romero e suor Irene Stefani, delle Missionarie della Consolata): “l’esempio eroico di questi Beati susciti in ciascuno di noi il vivo desiderio di testimoniare il Vangelo con coraggio e abnegazione”.
Così come fecero gli apostoli che “furono colmati di Spirito Santo” e “completamente trasformati. (…) Alla paura subentra il coraggio, la chiusura cede il posto all’annuncio e ogni dubbio viene scacciato dalla fede piena d’amore. E’ il ‘battesimo’ della Chiesa, che iniziava così il suo cammino nella storia, guidata dalla forza dello Spirito Santo”.
Quell’evento “cambia il cuore e la vita degli apostoli e degli altri discepoli” e la prima comunità cristiana, “non più ripiegata su sé stessa”, inizia “a parlare alle folle di diversa provenienza” della Risurrezione di Gesù. Lo Spirito Santo effuso a Pentecoste nel cuore dei discepoli è infatti “l’inizio di una nuova stagione”, quella “della testimonianza e della fraternità”, quella che viene da Dio, “come le fiamme di fuoco che si posarono sul capo di ogni discepolo”. Era “la fiamma dell’amore che brucia ogni asprezza”, “la lingua del Vangelo che varca i confini posti dagli uomini e tocca i cuori della moltitudine, senza distinzione di lingua, razza o nazionalità”. Così “lo Spirito Santo è effuso continuamente anche oggi sulla Chiesa e su ciascuno di noi perché usciamo dalle nostre mediocrità e dalle nostre chiusure e comunichiamo al mondo intero l’amore misericordioso del Signore. Comunicare l’amore misericordioso del Signore: questa è la nostra missione!”
Gian Paolo Cassano
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