LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
“La passione dei bambini, rifiutati, abbandonati, derubati del loro futuro è un grido che sale a Dio e che accusa il sistema che abbiamo costruito”. Con questo forte appello durante l’Udienza generale di mercoledì 8 aprile il Papa ha ripreso la catechesi dedicata alla famiglia parlando dei bambini, visti quest’oggi col volto della sofferenza. Sono “storie di Passione” di piccoli rifiutati, abbandonati, derubati della loro infanzia e del loro futuro o, nei Paesi ricchi, vittime di crisi familiari, di vuoti educativi e condizioni di vita disumane. Ma “questo è vergognoso! Non scarichiamo sui bambini le nostre colpe. I bambini non sono mai un errore !” Semmai c’è bisogno di più amore, perché “ogni bambino emarginato, abbandonato, che vive per strada mendicando e con ogni genere di espedienti, senza scuola, senza cure mediche, è un grido che sale a Dio e che accusa il sistema che noi adulti abbiamo costruito”. Di fronte a Dio che “non dimentica nessuna lacrima come neppure la responsabilità sociale delle persone e dei Paesi”, occorre non nascondersi dietro “difese legali d’ufficio” ma accompagnare le fatiche dei genitori che generosamente accolgono bambini con gravi difficoltà: “dovremmo accompagnare la loro fatica, ma anche offrire loro momenti di gioia condivisa e di allegria spensierata, perché non siano presi solo dalla routine terapeutica”. Papa Francesco consegna l’immagine di una società ideale che troverebbe misericordia anche nel giudizio divino, se stabilisse un principio di fondo: “è vero che non siamo perfetti e che facciamo molti errori. Ma quando si tratta dei bambini che vengono al mondo, nessun sacrificio degli adulti sarà giudicato troppo costoso o troppo grande, pur di evitare che un bambino pensi di essere uno sbaglio, di non valere niente e di essere abbandonato alle ferite della vita e alla prepotenza degli uomini”. Che bella sarebbe una società così! Io dico che a questa società, molto sarebbe perdonato, dei suoi innumerevoli errori. Molto, davvero”.
Domenica 12 aprile (in Albis e delle Divina Misericordia) il Papa ha celebrato nella Basilica di S. Pietro la Messa per il centenario del “martirio” armeno, durante la quale ha proclamato San Gregorio di Narek, monaco, teologo e poeta del X secolo, dottore della Chiesa. C’erano il Patriarca cattolico Nerses Bedros XIX, i due Catholicos Karekin II e Aram I ed il presidente armeno Serz Azati Sargsyan. A loro Francesco ha consegnato un messaggio in memoria dell’orribile massacro del popolo armeno. Infatti “fare memoria di quanto accaduto è doveroso non solo per il popolo armeno e per la Chiesa universale, ma per l’intera famiglia umana, perché il monito che viene da questa tragedia ci liberi dal ricadere in simili orrori, che offendono Dio e la dignità umana.” Poi Francesco è andata ai nostri giorni: “purtroppo ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra”. Viviamo “un tempo di guerra, una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, in cui assistiamo quotidianamente a crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione”. Per cui “anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino che esclama: ‘A me che importa?’; ‘Sono forse io il custode di mio fratello?’” Francesco ha quindi richiamato le “tre grandi tragedie inaudite” vissute dall’umanità nel secolo scorso, a partire da quella generalmente considerata “come il primo genocidio del XX secolo”, che “ha colpito il popolo armeno, prima nazione cristiana, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci”, uccidendo “vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi”. E le altre due “perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo”. E più recentemente “gli stermini di massa” come in Cambogia, Rwanda, Burundi, Bosnia: “eppure sembra che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente”. E proprio Gregorio di Narek, il più amato e il più letto tra i Santi armeni, proclamato dal Papa dottore della Chiesa, ha saputo esprimere “più di ogni altro la sensibilità del suo popolo, dando voce al grido che diventa preghiera, di un’umanità dolente e peccatrice, oppressa dall’angoscia della propria impotenza ma illuminata dallo splendore dell’amore di Dio” e “capace di trasformare ogni cosa”.
Al Regina Caeli il Papa ha invitato “a contemplare nelle piaghe del Risorto la Divina Misericordia, che supera ogni umano limite e risplende nell’oscurità del male e del peccato”. Ecco il prossimo Giubileo Straordinario della Misericordia, promulgato (con la Bolla di indizione) sabato 11 aprile, nella Basilica di San Pietro, come un tempo intenso e prolungato per accogliere le immense ricchezze dell’amore misericordioso di Dio. Di qui l’invito a tenere “lo sguardo rivolto a Lui, che Lui sempre ci cerca, ci aspetta, ci perdona. Tanto misericordioso, non si spaventa delle nostre miserie. Nelle sue piaghe ci guarisce e perdona tutti i nostri peccati. E la Vergine Madre ci aiuti ad essere misericordiosi con gli altri come Gesù lo è con noi.”
Gian Paolo Cassano
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