LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
Dopo mamme, papà, figli, fratelli e nonni ecco i bambini; e Francesco con grande semplicità ne traccia il ruolo nel corso dell’udienza generale di mercoledì 18 marzo. I bambini sono “un grande dono per l’umanità”, anche se a volte sono i “grandi esclusi perché neppure li lasciano nascere”. Il pensiero del Papa va al suo recente viaggio in Asia dove ha incontrato bambini “pieni di vita, di entusiasmo, e, d’altra parte, vedo che nel mondo molti di loro vivono in condizioni non degne… In effetti, da come sono trattati i bambini si può giudicare la società, ma non solo moralmente, anche sociologicamente, se è una società libera o una società schiava di interessi internazionali”.
Egli poi ha messo l’accento sulla “ricchezza” che ogni bambino porta con sé. Innanzitutto essi “ci richiamano costantemente alla condizione necessaria per entrare nel Regno di Dio: quella di non considerarci autosufficienti, ma bisognosi di aiuto, di amore, di perdono”. Poi i bambini “ci ricordano che siamo sempre figli”, riportandoci così “al fatto che la vita non ce la siamo data noi, ma l’abbiamo ricevuta. Il grande dono della vita è il primo regalo che abbiamo ricevuto, la vita. A volte rischiamo di vivere dimenticandoci di questo, come se fossimo noi i padroni della nostra esistenza, e invece siamo radicalmente dipendenti”.
Un altro dono che un bambino porta al mondo è quello dello sguardo “fiducioso e puro” e la totale assenza di “malizia” e “doppiezze”, delle “incrostazioni della vita che induriscono il cuore”.
Essi “non sono diplomatici: dicono quello che sentono, dicono quello che vedono, direttamente (…) non sono persone doppie. Ancora non hanno imparato quella scienza della doppiezza che noi adulti abbiamo imparato”. Poi un bambino è sinonimo di “tenerezza”, di uno sguardo di “poesia” sulla vita, perché un cuore tenero sente le cose, non si limita a trattare gli avvenimenti come “meri oggetti”. Bambino vuol dire avere ancora la capacità, dissolta in tanti adulti, “di sorridere e di piangere” perché “i bambini sorridono spontaneamente e piangono spontaneamente”.
Si capisce allora perché Gesù abbia detto che “il Regno di Dio appartiene ai bambini”. Talvolta “portano anche preoccupazioni e a volte tanti problemi; ma è meglio una società con queste preoccupazioni e questi problemi, che una società triste e grigia perché è rimasta senza bambini! E quando vediamo che il livello di nascita di una società arriva appena all’uno percento, possiamo dire che questa società è triste, è grigia perché è rimasta senza bambini”.
Domenica 22 marzo, all’Angelus, il Pontefice ha auspicato che la nostra vita esprima coerenza “tra quello che diciamo e quello che viviamo”, facendo risaltare il messaggio del Vangelo, la fede nella Croce, la forza della testimonianza. Così il Papa ha regalato un gesto che dà spessore a quanto affermato poco prima; infatti se a chi vuole vedere Gesù si può offrire anzitutto il Vangelo, ecco il dono per tutti (erano circa 50.000 i presenti) di un Vangelo distribuito anche da 300 senzatetto, un modo immediato per riempire tasche e borse della Parola di Dio ed aiutare più gente possibile a fare l’esperienza di “luce” e di “bene” che la pratica di leggere il Vangelo “un brano al giorno” porta con sé. “‘Vogliamo vedere Gesù’: queste parole, come tante altre nei Vangeli, vanno al di là dell’episodio particolare ed esprimono qualcosa di universale; rivelano un desiderio che attraversa le epoche e le culture, un desiderio presente nel cuore di tante persone che hanno sentito parlare di Cristo, ma non lo hanno ancora incontrato. Io desidero vedere Gesù: così sente il cuore di questa gente”. Per questo, a chi anche oggi vuole “vedere Gesù”, perché lo cerca, o è rimasto alle catechesi ricevute da bambino, o “forse ha perso la fede”, i cristiani possono “offrire tre cose”, cioè “il Vangelo; il crocifisso e la testimonianza della nostra fede, povera, ma sincera. Il Vangelo: lì possiamo incontrare Gesù, ascoltarlo, conoscerlo. Il crocifisso: segno dell’amore di Gesù che ha dato sé stesso per noi. E poi una fede che si traduce in gesti semplici di carità fraterna. Ma principalmente nella coerenza di vita tra quello che diciamo e quello che viviamo, coerenza tra la nostra fede e la nostra vita, tra le nostre parole e le nostre azioni. Vangelo, crocifisso, testimonianza”.
Gian Paolo Cassano
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