LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
“Questa è l’unica parola giusta. Io penso a voi, fratelli e sorelle ucraini … Pensate, questa è una guerra fra cristiani! Voi tutti avete lo stesso battesimo! State lottando fra cristiani. Pensate a questo scandalo. E preghiamo tutti, perché la preghiera è la nostra protesta davanti a Dio in tempo di guerra”. Sono le parole accorate del Papa mercoledì 4 febbraio (all’udienza generale) nel chiedere la pace per l’Ucraina. Continuando poi la catechesi sul padre, ha sottolineato che i padri devono essere pazienti e magnanimi, ma al tempo stesso devono saper correggere i figli con fermezza. Ha tracciato così un vademecum del buon padre di famiglia, prendendo spunto dall’esempio di San Giuseppe, “il padre della famiglia di Nazareth”, e dal Libro dei Proverbi.
Ora la prima necessità è quella “che il padre sia presente nella famiglia. Che sia vicino alla moglie, per condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. E che sia vicino ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono spensierati e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono taciturni, quando osano e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada”. Ma non deve essere un “controllore”, perché “i padri troppo controllori annullano i figli, non li lasciano crescere”. Come il “padre misericordioso” del Vangelo un padre deve essere paziente, che “sa attendere e sa perdonare, dal profondo del cuore. (…) Il padre sa correggere senza avvilire è lo stesso che sa proteggere senza risparmiarsi”.
Un buon padre, è colui che dice al figlio: “sarò felice ogni volta che ti vedrò agire con saggezza, e sarò commosso ogni volta che ti sentirò parlare con rettitudine (…) E perché tu potessi essere così, ti ho insegnato cose che non sapevi, ho corretto errori che non vedevi”. E’ un padre saggio, un padre maturo, un padre che “sa bene quanto costa trasmettere questa eredità: quanta vicinanza, quanta dolcezza e quanta fermezza”. Ed allora, “quale consolazione e quale ricompensa si riceve, quando i figli rendono onore a questa eredità! E’ una gioia che riscatta ogni fatica, che supera ogni incomprensione e guarisce ogni ferita”. E’ con la grazia “che viene dal Padre che sta nei cieli” che i padri non “perdono coraggio”, e non “abbandonano il campo”. Per questo, la Chiesa è “impegnata a sostenere con tutte le sue forze la presenza buona e generosa dei padri nelle famiglie (…) perché essi sono per le nuove generazioni custodi e mediatori insostituibili della fede nella bontà, della fede nella giustizia e nella protezione di Dio, come San Giuseppe”.
Domenica 8 febbraio, all’Angelus, nella Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, ha parlato di una “vergognosa piaga, indegna di una società civile”. Nella memoria liturgica di S. Giuseppina Bakhita, la suora sudanese che da bambina fece la drammatica esperienza di essere vittima della tratta, ha incoraggiato “quanti sono impegnati ad aiutare uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro o di piacere e spesso torturati e mutilati. Auspico che quanti hanno responsabilità di governo si adoperino con decisione a rimuovere le cause di questa vergognosa piaga: è vero, è una piaga vergognosa, una piaga indegna di una società civile”. Poi si è soffermato “sul senso e il valore della malattia”, partendo dal Vangelo in cui Gesù “risana una moltitudine di persone afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche, spirituali”. Così la Chiesa, continuando l’opera salvifica del Signore, perché continuamente trova poveri e sofferenti “sulla sua strada, considerando le persone malate come una via privilegiata per incontrare Cristo”, per accoglierlo e servirlo. “Curare un malato, accoglierlo, servirlo è servire Cristo: è la carne di Cristo, il malato”; e tutto ciò “avviene anche nel nostro tempo, quando, nonostante le molteplici acquisizioni della scienza, la sofferenza interiore e fisica delle persone suscita forti interrogativi sul senso della malattia e del dolore e sul perché della morte”. Ma ognuno di noi “è chiamato a portare la luce della Parola di Dio e la forza della grazia a coloro che soffrono e a quanti li assistono, familiari, medici, infermieri, perché il servizio al malato sia compiuto sempre più con umanità, con dedizione generosa, con amore evangelico, con tenerezza. La Chiesa madre, tramite le nostre mani, carezza le nostre sofferenze e cura le nostre ferite e lo fa con tenerezza di madre”.
Gian Paolo Cassano
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