LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
Continuando la catechesi sulla Chiesa, mercoledì 12 novembre, all’Udienza generale, il Papa ha parlato dei Vescovi, riferendosi all’insegnamento paolino (nelle Lettere pastorali), evidenziando le qualità che non devono mancare in un vescovo, un presbitero, un diacono: “l’accoglienza, la sobrietà, la pazienza, la mitezza, l’affidabilità, la bontà di cuore”. E’ questo “l’alfabeto, la grammatica di base di ogni ministero” e “deve essere la grammatica di base di ogni vescovo”, per offrire un servizio e una testimonianza davvero gioiosi e credibili. “Questo significa che deve essere sempre viva la consapevolezza che non si è vescovi, sacerdoti o diaconi perché si è più intelligenti, più bravi e migliori degli altri, ma solo in forza di un dono, un dono d’amore elargito da Dio, nella potenza del suo Spirito, per il bene del suo popolo”. E’ una “consapevolezza è davvero importante e costituisce una grazia da chiedere ogni giorno” perché “un Pastore che è cosciente che il proprio ministero scaturisce unicamente dalla misericordia e dal cuore di Dio non potrà mai assumere un atteggiamento autoritario, come se tutti fossero ai suoi piedi e la comunità fosse la sua proprietà, il suo regno personale”. La consapevolezza che “tutto è dono, tutto è grazia, aiuta un Pastore anche a non cadere nella tentazione di porsi al centro dell’attenzione e di confidare soltanto in se stesso”: guai se un pastore pensasse “di sapere tutto, di avere sempre la risposta giusta per ogni cosa e di non avere bisogno di nessuno. Al contrario, la coscienza di essere lui per primo oggetto della misericordia e della compassione di Dio deve portare un ministro della Chiesa ad essere sempre umile e comprensivo nei confronti degli altri”. Anzi, la coscienza “di avere sempre qualcosa da imparare, anche da coloro che possono essere ancora lontani dalla fede e dalla Chiesa” porterà “ad assumere un atteggiamento nuovo, improntato alla condivisione, alla corresponsabilità e alla comunione”.
Al termine ha poi rivolto un appello perché cessino le violenze verso quei “cristiani che in varie parti del mondo sono perseguitati e uccisi a motivo del loro credo religioso”.
Domenica 16 novembre, all’Angelus, ha ricordato che “Gesù non ci chiede di conservare la sua grazia in cassaforte (…) ma vuole che la usiamo a vantaggio degli altri. Tutti i beni che noi abbiamo ricevuto sono per darli agli altri e così crescono. È come se ci dicesse: ‘Eccoti la mia misericordia, la mia tenerezza, il mio perdono: prendili e fanne largo uso’. E noi che cosa ne abbiamo fatto? Chi abbiamo ‘contagiato’ con la nostra fede? Quante persone abbiamo incoraggiato con la nostra speranza? Quanto amore abbiamo condiviso col nostro prossimo? Sono domande che ci farà bene farci. Qualunque ambiente, anche il più lontano e impraticabile, può diventare luogo dove far fruttificare i talenti”. Allora “non ci sono situazioni o luoghi preclusi alla presenza e alla testimonianza cristiana” che “non è chiusa, è aperta”. Così la parabola dei talenti “ci sprona a non nascondere la nostra fede e la nostra appartenenza a Cristo, a non seppellire la Parola del Vangelo, ma a farla circolare nella nostra vita, nelle relazioni, nelle situazioni concrete, come forza che mette in crisi, che purifica, che rinnova”. Questo vale anche per il perdono, nel Sacramento della Riconciliazione: “non teniamolo chiuso in noi stessi, ma lasciamo che sprigioni la sua forza, che faccia cadere quei muri che il nostro egoismo ha innalzato, che ci faccia fare il primo passo nei rapporti bloccati, riprendere il dialogo dove non c’è più comunicazione”. Dio ripone in tutti “immensa fiducia. Dio si fida di noi. Dio ha speranza in noi. E questo è lo stesso per tutti. Non deludiamolo! Non lasciamoci ingannare dalla paura, ma ricambiamo fiducia con fiducia!”.
Gian Paolo Cassano
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