La Parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Papa Francesco ha dedicato l’udienza generale di mercoledì 29 ottobre al rapporto tra realtà “visibile” e realtà “spirituale” che convivono nella natura della Chiesa. “Ciò che non si vede è più importante di ciò che si vede”. Così è nella Chiesa: la sua invisibile natura divina – l’essere corpo di Cristo – è più importante della sua natura tangibile, le parrocchie, le comunità, clero, laici, religiosi.
E’ Gesù il chiaro metro per capire come natura spirituale e natura visibile si leghino: “come in Cristo la natura umana asseconda pienamente quella divina e si pone al suo servizio, in funzione del compimento della salvezza, così avviene, nella Chiesa, per la sua realtà visibile, nei confronti di quella spirituale. Anche la Chiesa, quindi, è un mistero, nel quale ciò che non si vede è più importante di ciò che si vede, e può essere riconosciuto solo con gli occhi della fede”. Con gli occhi si possono sempre riconoscere le “meraviglie” che tramite i cristiani “Cristo riesce ad operare nel cuore e nella vita di ogni persona”. Ma è una dimensione che sfugge al “controllo”, impossibile da quantificare, che “non è misurabile, non è conoscibile in tutta la sua pienezza”.
Così “attraverso la sua realtà visibile, di tutto quello che si vede, i sacramenti e la testimonianza di tutti noi cristiani, la Chiesa è chiamata ogni giorno a farsi vicina ad ogni uomo, a cominciare da chi è povero, da chi soffre e da chi è emarginato, in modo da continuare a far sentire su tutti lo sguardo compassionevole e misericordioso di Gesù”. Di qui l’invito a chiedere “il dono della fede, perché possiamo comprendere come, nonostante la nostra pochezza e la nostra povertà, il Signore ci ha reso davvero strumento di grazia e segno visibile del suo amore per tutta l’umanità. Possiamo diventare motivo di scandalo, sì. Ma possiamo anche diventare motivo di testimonianza, dicendo con la nostra vita quello che Gesù vuole da noi”.
All’Angelus, nel giorno dei Santi, ha evidenziato il richiamo “intenso di fede, di preghiera e di riflessione sulle ‘cose ultime’ della vita” dei primi giorni di novembre, invitando a lodare Dio per la schiera innumerevole dei santi e delle sante di tutti i tempi “uomini e donne comuni, semplici, a volte ‘ultimi’ per il mondo, ma ‘primi’ per Dio”. E’ la comunione dei santi, una verità fondamentale della fede cristiana, un’unione spirituale “che non viene spezzata dalla morte, ma prosegue nell’altra vita”, quel “legame indistruttibile tra noi viventi in questo mondo e quanti hanno varcato la soglia della morte. Noi quaggiù sulla terra, insieme a coloro che sono entrati nell’eternità, formiamo una sola e grande famiglia”. In particolare nell’Eucaristia “noi incontriamo Gesù vivo e la sua forza, e attraverso di Lui entriamo in comunione con i nostri fratelli nella fede: quelli che vivono con noi qui in terra e quelli che ci hanno preceduto nell’altra vita, la vita senza fine”. E’ questa una realtà che “ci colma di gioia: è bello avere tanti fratelli nella fede che camminano al nostro fianco, ci sostengono con il loro aiuto e insieme a noi percorrono la stessa strada verso il cielo. Ed è consolante sapere che ci sono altri fratelli che hanno già raggiunto il cielo, ci attendono e pregano per noi, affinché insieme possiamo contemplare in eterno il volto glorioso e misericordioso del Padre”.
Papa Francesco ha poi ricordato la proclamazione del nuovo Beato, il martire Pietro Asúa Mendía, sacerdote basco, “umile e austero”, che “predicò il Vangelo con la santità di vita, la catechesi e la dedizione verso i poveri e i bisognosi” nei tempi difficili della guerra civile spagnola e che “rappresenta per tutti noi un mirabile esempio di fortezza nella fede e di testimonianza della carità”.
Domenica 2 novembre, all’Angelus, ha ricordato che la morte non è l’ultima parola, perché “l’uomo è destinato ad una vita senza limiti, che ha la sua radice e il suo compimento in Dio”, pregando per le vittime di guerre e violenze, per i cristiani uccisi per la loro religione e per quanti sono morti “senza il conforto sacramentale o non hanno avuto modo di pentirsi”. Il Pontefice ha affidato a Dio “quanti hanno lasciato questo mondo per l’eternità”, dove il Signore attende “l’intera umanità redenta dal sangue prezioso di Cristo”, morto in riscatto per i nostri peccati, invocando il suo “sguardo pietoso” che ci accompagna “sulla strada di una completa purificazione”, per essere accolti nelle braccia dell’“infinita misericordia” e nessuno dei figli di Dio “vada perduto nel fuoco eterno dell’Inferno, dove non ci può essere più pentimento.” La “Sorella morte corporale”, rifacendosi a San Francesco d’Assisi, “ci trovi vigilanti nella preghiera”, affinché “niente ci allontani” da Dio su questa Terra, “ma tutto e tutti ci sostengano nell’ardente desiderio di riposare serenamente ed eternamente” nel Signore. “Da una parte, infatti, la Chiesa, pellegrina nella storia, si rallegra per l’intercessione dei Santi e dei Beati che la sostengono nella missione di annunciare il Vangelo; dall’altra, essa, come Gesù, condivide il pianto di chi soffre il distacco dalle persone care, e come Lui e grazie a Lui fa risuonare il ringraziamento al Padre che ci ha liberato dal dominio del peccato e della morte”. In queste ore, ha riflettuto il Santo Padre, in tanti fanno visita al cimitero, che è “luogo del riposo” in attesa del risveglio finale: “è bello pensare che sarà Gesù stesso a risvegliarci”. Gesù “ha rivelato che la morte del corpo è come un sonno dal quale Lui ci risveglia”. D’altra parte la tradizione della Chiesa ha sempre esortato a pregare per i defunti, in particolare attraverso la celebrazione eucaristica che, ha spiegato il Pontefice, “è il miglior aiuto spirituale che noi possiamo dare alle loro anime, particolarmente a quelle più abbandonate. Il fondamento della preghiera di suffragio ricordando quanto ribadito dal Concilio Vaticano II – si trova nella comunione del Corpo Mistico” di Gesù Cristo. “Il ricordo dei defunti, la cura dei sepolcri e i suffragi sono testimonianza di fiduciosa speranza, radicata nella certezza che la morte non è l’ultima parola sulla sorte umana, poiché l’uomo è destinato ad una vita senza limiti, che ha la sua radice e il suo compimento in Dio”.
Gian Paolo Cassano

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