E’ stato proclamato beato il primo novembre in Spagna, il sacerdote basco don Pedro Asúa Mendía, martire nella guerra civile spagnola. Il rito, celebrato a Vitoria, nei Paesi Baschi, è stato presieduto dal card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
Pedro Asúa Mendía, dopo la laurea in architettura conseguita a Madrid, venne ordinato sacerdote nel 1924. L’allora vescovo di Vitoria, Mateo Múgica, ne riconobbe immediatamente la bravura, come Venne nominato (dal vescovo mons, Mateo Mugica) architetto ufficiale della diocesi, curando il restauro di molti immobili ed edificandone di nuovi, come il seminario di Vitoria, che ebbe un’eco anche al di fuori della Spagna.
Don Asúa Mendía era un lavoratore instancabile che non trascurava i suoi compiti di pastorale giovanile, nella catechesi con i giovani, con l’Azione cattolica, in ritiri ed esercizi spirituali, oltre a dedicarsi ai poveri e agli ammalati. Fu un vero predicatore sociale negli anni di tensione tra nazionalisti e repubblicani, che sfociarono nella guerra civile.
“Nella prima metà del XX secolo – ricorda il card. Amato – la Chiesa cattolica in Spagna fu oggetto di un feroce attacco, sia sul piano fisico sia sotto l’aspetto giuridico e amministrativo. La libertà di culto fu limitata e perfino soppressa; le chiese e i cimiteri vennero profanati e distrutti. Numerose furono le vittime del terrore rivoluzionario, che giunse al culmine nell’estate del 1936”.
Il 25 agosto 1936, don Pedro si rifugiò presso alcuni parenti, ma venne raggiunto e catturato; senza processo né detenzione in carcere, fu immediatamente fucilato. Il suo corpo, gettato in fretta in una cava, fu ritrovato un mese dopo, ma identificato solo dopo due anni.
La sua uccisione, avvenuta in odium fidei, risiedeva solo nell’abito che aveva scelto di indossare, il suo status di sacerdote. “Le testimonianze – aggiunge il card. Amato – concordano nel mettere in risalto la sua profonda serenità di fronte al martirio”. Infatti, quando seppe dell’uccisione di 51 missionari claretiani a Barbastro, che andarono incontro alla morte pregando e cantando, manifestò il desiderio di imitarli.
Ecco i martiri: coloro che accettano la volontà del Signore e sono pronti a sacrificare la propria vita per la fede. Per questo “la Chiesa celebra i martiri – conclude il Prefetto – perché sono i testimoni più convincenti del Vangelo. Come vittime inermi del male, essi testimoniano che il perdono e l’amore vincono sempre sul male e sui malvagi. La Chiesa non dimentica questi suoi figli coraggiosi e invita tutti a non rinnovare mai più questi spettacoli disumani di uccisioni fraterne”.
Gian Paolo Cassano
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