La parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
“Attesa appassionata” di Gesù che tornerà ad aprire un’era senza più “prevaricazioni e distinzioni”: è questa la speranza cristiana. Ne ha parlato il Papa all’udienza generale mercoledì 15 ottobre, riflettendo sul destino ultimo della Chiesa e dell’umanità, secondo la visione della fede.
“E così per sempre saremo con il Signore”; l’espressone di fede paolina (rivolta ai cristiani di Tessalonica) è stata ripetuta in coro dai fedeli in Piazza San Pietro, quasi a volerla incidere nelle coscienze di chi ascolta, “parole semplici, ma con una densità di speranza tanto grande!”
La riflessione del Pontefice si è addentrata nel mistero del popolo di Dio (in Apocalisse), come di una “Gerusalemme nuova” come un amato che va incontro alla sua sposa: “non è solo un modo di dire: saranno delle vere e proprie nozze! Sì, perché Cristo, facendosi uomo come noi e facendo di tutti noi una cosa sola con lui, con la sua morte e la sua risurrezione, ci ha davvero sposato e (…) questo non è altro che il compimento del disegno di comunione e di amore tessuto da Dio nel corso di tutta la storia, la storia del popolo di Dio e anche la propria storia di ognuno di noi. E’ il Signore che porta avanti questo”.
Il richiamo poi è alla Chiesa “chiamata a diventare città, simbolo per eccellenza della convivenza e della relazionalità umana” che “sarà ‘la tenda di Dio’! E in questa cornice gloriosa non ci saranno più isolamenti, prevaricazioni e distinzioni di alcun genere — di natura sociale, etnica o religiosa — ma saremo tutti una cosa sola in Cristo”.
Tutto ciò è uno “scenario inaudito e meraviglioso” che chiede a noi di essere “davvero testimoni luminosi di questa attesa, di questa speranza”. Infatti “la speranza cristiana non è semplicemente un desiderio, un auspicio, non è ottimismo: per un cristiano, la speranza è attesa (…) di qualcuno che sta per arrivare: è il Cristo Signore (…) La Chiesa ha allora il compito di mantenere accesa e ben visibile la lampada della speranza, perché possa continuare a risplendere come segno sicuro di salvezza e possa illuminare a tutta l’umanità il sentiero che porta all’incontro con il volto misericordioso di Dio”.
Domenica 19 ottobre l’Eucaristia in piazza San Pietro ha suggellato due grandi eventi per la Chiesa universale: la conclusione del Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia e la Beatificazione del Servo di Dio, Paolo VI, al secolo Giovanni Battista Montini. Il Sinodo (che volle papa Paolo VI, a continuazione dello spirito conciliare), per dono dello Spirito Santo, ha svolto un lavoro con “vera libertà e umile creatività”, per “riaccendere la speranza in tanta gente senza speranza”. All’Omelia Francesco ha colto nella frase evangelica “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” una “risposta ad effetto che il Signore consegna a tutti coloro che si pongono problemi di coscienza, soprattutto quando entrano in gioco le loro convenienze, le loro ricchezze, il loro prestigio, il loro potere e la loro fama. E questo succede in ogni tempo, da sempre”.
Ciò “significa riconoscere e professare di fronte a qualunque tipo di potere – che Dio solo è il Signore dell’uomo”, significa “aprirsi alla sua volontà”, e “cooperare al suo Regno di misericordia, di amore, di pace”: è “questa è la novità perenne da riscoprire ogni giorno, vincendo il timore che spesso proviamo di fronte alle sorprese di Dio”, perché Dio “non ha paura delle novità!” Lui “ci fa ‘nuovi’ continuamente” e “continuamente ci sorprende, aprendoci a vie impensate”. Infatti “la speranza in Dio non è quindi una fuga dalla realtà, non è un alibi”, anzi “è rispondere, con coraggio, alla innumerevole sfide nuove”, cosi come è stato durante il Sinodo straordinario dei vescovi, che ha visto “pastori e laici di ogni parte del mondo” portare a Roma “la voce delle loro Chiese particolari per aiutare le famiglie di oggi a camminare sulla via del Vangelo, con lo sguardo fisso su Gesù”. Si è sentita “la forza dello Spirito Santo che guida e rinnova sempre la Chiesa chiamata, senza indugio, a prendersi cura delle ferite che sanguinano e a riaccendere la speranza per tanta gente senza speranza”.
Poi l’omaggio a Paolo VI, beatificato, un “grande Papa”, “coraggioso cristiano”, “instancabile apostolo”; “davanti a Dio oggi non possiamo che dire una parola tanto semplice quanto sincera ed importante: “grazie! Grazie nostro caro e amato Papa Paolo VI! Grazie per la tua umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa!” Fu il “grande timoniere” del Concilio Vaticano II, con grande umiltà che lo portava a riconoscere (lo annotava sul suo diario) come Dio lo avesse chiamato a quel compito perché lui soffrisse qualche cosa per la Chiesa. “In questa umiltà risplende la grandezza del Beato Paolo VI che, mentre si profilava una società secolarizzata e ostile, ha saputo condurre con saggezza lungimirante – e talvolta in solitudine – il timone della barca di Pietro senza perdere mai la gioia e la fiducia nel Signore”.
All’Angelus poi ha ancora tracciato la figura del nuovo beato soffermandosi sulla sua Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi e sulla sua profonda devozione mariana testimoniata dall’Esortazione apostolica Marialis cultus e per aver proclamato Maria Madre della Chiesa.
Gian Paolo Cassano

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