LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
E’ sull’appartenenza ecclesiale che il Papa si è concentrato nell’udienza di mercoledì 25 giugno, l’ultima, prima della pausa di luglio. “Non siamo isolati e non siamo cristiani a titolo individuale, ognuno per conto proprio, no: la nostra identità cristiana è appartenenza! Siamo cristiani perché noi apparteniamo alla Chiesa. È come un cognome: se il nome è ’sono cristiano’, il cognome è ‘appartengo alla Chiesa’”.
A Mosè Dio si presenta come “il Dio dei padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe”, che ha stretto un’alleanza con il suo popolo, che “rimane sempre fedele al suo patto” e che “ci chiama ad entrare in questa relazione che ci precede”.
Quindi “nessuno diventa cristiano da sé. Non si fanno cristiani in laboratorio. Il cristiano è parte di un popolo che viene da lontano” e che si chiama Chiesa. “Se noi crediamo, se sappiamo pregare, se conosciamo il Signore e possiamo ascoltare la sua Parola, se lo sentiamo vicino e lo riconosciamo nei fratelli, è perché altri, prima di noi, hanno vissuto la fede e poi ce l’hanno trasmessa, la fede l’abbiamo ricevuta dai nostri padri, dai nostri antenati, e loro ce l’hanno insegnata”.
Saranno i genitori, i nonni o altri familiari che ci hanno “insegnato a fare il segno della croce e a recitare le prime preghiere”, qualche “parroco”, “suora” o “catechista” che ci hanno “trasmesso il contenuto della fede”, facendoci “crescere come cristiani”. Questa è la Chiesa, “una famiglia nella quale si viene accolti” e “grazie e insieme alla quale (…) si impara a vivere da credenti”. Non esiste quindi il “fai da te nella Chiesa” come non esistono “battitori liberi” (come aveva detto Benedetto XVI, parlando della Chiesa come un “noi” ecclesiale).
L’atteggiamento ricorrente di molti che affermano: “credo in Dio, credo in Gesù, ma la Chiesa non m’interessa” e che rifiutano la “mediazione della Chiesa” produce “tentazioni pericolose e dannose” o, per dirla con Paolo VI “dicotomie assurde”.
E’ vero che “camminare insieme è impegnativo” e a volte faticoso, ma “è nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle, con i loro doni e i loro limiti, che il Signore ci viene incontro e si fa riconoscere. E questo significa appartenere alla Chiesa”. Da qui l’invocazione finale alla Vergine Maria affinché nessun cristiano cada mai nella tentazione di “pensare di poter fare a meno degli altri, di poter fare a meno della Chiesa, di poterci salvare da soli”. Ora “non si può amare Dio senza amare i fratelli, non si può amare Dio fuori della Chiesa; non si può essere in comunione con Dio senza esserlo con nella Chiesa e non possiamo essere buoni cristiani se non insieme a tutti coloro che cercano di seguire il Signore Gesù, come un unico popolo, un unico corpo e questo è la Chiesa.”
Domenica 29 giugno, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, il Pontefice ha imposto il pallio, simbolo del Buon Pastore, a 24 nuovi arcivescovi metropoliti (tra cui l’arcivescovo di Vercelli, mons. Marco Arnolfo). Francesco ha ricordato che “il nostro vero rifugio è la fiducia in Dio: essa allontana ogni paura e ci rende liberi da ogni schiavitù e da ogni tentazione mondana”. Sull’esempio di Pietro, ha invitato tutti ad una verifica sulla fiducia nel Signore, mettendo in guardia dalla paura e dai “rifugi pastorali”: “noi – mi domando –, cari fratelli Vescovi, abbiamo paura? Di che cosa abbiamo paura? E se ne abbiamo, quali rifugi cerchiamo, nella nostra vita pastorale, per essere al sicuro? Cerchiamo forse l’appoggio di quelli che hanno potere in questo mondo? O ci lasciamo ingannare dall’orgoglio che cerca gratificazioni e riconoscimenti, e lì ci sembra di stare sicuri? Dove poniamo la nostra sicurezza”? E’ il Signore a ripetere il sui invito: “Seguimi! Non perdere tempo in domande o in chiacchiere inutili; non soffermarti sulle cose secondarie, ma guarda all’essenziale e seguimi. Seguimi nonostante le difficoltà. Seguimi nella predicazione del Vangelo. Seguimi nella testimonianza di una vita corrispondente al dono di grazia del Battesimo e dell’Ordinazione. Seguimi nel parlare di me a coloro con i quali vivi, giorno dopo giorno, nella fatica del lavoro, del dialogo e dell’amicizia. Seguimi nell’annuncio del Vangelo a tutti, specialmente agli ultimi, perché a nessuno manchi la Parola di vita, che libera da ogni paura e dona la fiducia nella fedeltà di Dio”.
All’ Angelus ha ribadito che “il dialogo è l’unica via per la pace”, pregando per l’Iraq sconvolto dalla violenza, “vicino alle migliaia di famiglie, specialmente cristiane, che hanno dovuto lasciare le loro case e che sono in grave pericolo. La violenza genera altra violenza; il dialogo è l’unica via per la pace”.
Poi, soffermandosi sui Santi Pietro e Paolo, il Pontefice ha affermato come “la fede in Gesù Cristo li ha resi fratelli e il martirio li ha fatti diventare una sola cosa”. Diversi tra loro sul piano umano, “sono stati scelti personalmente dal Signore Gesù e hanno risposto alla chiamata offrendo tutta la loro vita”, lasciandosi trasformare dalla “grazia di Cristo”, che ha fatto compiere loro “grandi cose”: (…) perciò essi continuano a parlare alla Chiesa e ancora oggi ci indicano la strada della salvezza”. Dio “è sempre capace di trasformarci”, anche “se per caso cadessimo nei peccati più gravi e nella notte più oscura”. Infatti “l’incontro con la Parola di Cristo è in grado di trasformare completamente la nostra vita. Non è possibile ascoltare questa Parola e restare fermi al proprio posto, restare bloccati sulle proprie abitudini. Essa ci spinge a vincere l’egoismo che abbiamo nel cuore per seguire decisamente quel Maestro che ha dato la vita per i suoi amici. Ma è Lui che con la sua parola ci cambia; è Lui che ci trasforma; è Lui che ci perdona tutto, se noi apriamo il cuore e chiediamo il perdono”.
Gian Paolo Cassano
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