LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
La Chiesa “non è un’istituzione finalizzata a se stessa, o una Ong. La Chiesa non va ristretta al clero o al Vaticano. La Chiesa siamo tutti”. Lo ha detto il Papa inaugurando mercoledì 18 giugno un ciclo di catechesi sulla Chiesa E’ Abramo, che si fida di Dio per lasciare la sua patria verso un’altra terra, la figura da cui Francesco inizia la sua riflessione sulla Chiesa che “non è nata in un laboratorio”, né improvvisamente. “E’ fondata da Gesù ma è un popolo con una storia lunga alle spalle”: infatti “cominciando da Abramo Dio forma un popolo perché porti la sua benedizione a tutte le famiglie della terra. E all’interno di questo popolo nasce Gesù. E’ Dio che fa questo popolo, questa storia, la Chiesa in cammino, e lì nasce Gesù, in questo popolo”.
E’ singolare notare come sia Dio stesso “a prendere l’iniziativa” verso Abramo: “così Dio forma un popolo con tutti coloro che ascoltano la sua Parola e che si mettono in cammino, fidandosi di Lui. Questa è l’unica condizione: fidarsi di Dio. Se tu ti fidi di Dio, lo ascolti e ti metti in cammino, questo è fare Chiesa. Questo è fare la Chiesa. L’amore di Dio precede tutto. Dio sempre è primo, arriva prima di noi, Lui ci precede”.
Il Pontefice ha sottolineato che “questo si chiama amore perché Dio ci aspetta sempre”: anche “se sei stato un peccatore grosso ti aspetta di più e ti aspetta con tanto amore, perché Lui è primo. E’ questa la bellezza della Chiesa, che ci porta a questo Dio che ci aspetta!” Abramo, si mette in cammino: “non aveva un libro di teologia per studiare cosa fosse questo Dio”, ma “si fida dell’amore” divino. Anche se i peccati “segnano il cammino del popolo lungo tutta la storia della salvezza”, Dio, però, ha pazienza e “nel tempo continua a educare e a formare il suo popolo, come un padre con il proprio figlio”. Quando “ci riconosciamo peccatori”, Dio ci perdona sempre, perché ciò che “ci fa crescere”, come Chiesa, “non sono i nostri meriti”, ma è “l’esperienza quotidiana di quanto il Signore ci vuole bene (…) ci ama, ci carezza, ci aspetta, ci fa sentire la sua tenerezza.” Il progetto di Dio è di “formare un popolo benedetto dal suo amore e che porti la sua benedizione a tutti i popoli della terra”, che ha avuto il suo compimento in Cristo e che Dio continua a realizzare nella Chiesa. Il Papa ha poi esortato ad essere pronti, ogni giorno, a partire come Abramo verso “la nostra vera patria” e diventare così “segno dell’amore di Dio”. Infatti il “cristiano con la sua vita deve benedire sempre, benedire Dio e benedire tutti. Noi cristiani siamo gente che benedice, che sa benedire. E’ una bella vocazione questa!”
Nell’occasione della Giornata mondiale dei rifugiati ha ricordato come anche Gesù lo sia stato, esortando: “Facciamoci loro vicini, condividendo le loro paure e la loro incertezza per il futuro e alleviando concretamente le loro sofferenze.”
Domenica 22 giugno, all’Angelus, il Pontefice ha levato una “ferma condanna” contro la tortura, ricordandone le vittime che saranno al centro della Giornata Onu del 26 giugno, invitando “i cristiani ad impegnarsi per collaborare alla sua abolizione e sostenere le vittime e i loro familiari. Torturare le persone è un peccato mortale! Un peccato molto grave!” Ha parlato poi dell’Eucaristia come dimostrazione che “la misura dell’amore di Dio è amare senza misura (…) Non si può misurare l’amore di Dio: è senza misura!”
Di qui la vocazione di un cristiano che nasce dall’Eucaristia e che si traduce in “comportamenti generosi verso il prossimo, che dimostrano l’atteggiamento di spezzare la vita per gli altri”. Infatti “ogni volta che partecipiamo alla Santa Messa e ci nutriamo del Corpo di Cristo, la presenza di Gesù e dello Spirito Santo in noi agisce, plasma il nostro cuore, ci comunica atteggiamenti interiori che si traducono in comportamenti secondo il Vangelo. Anzitutto la docilità alla Parola di Dio, poi la fraternità tra di noi, il coraggio della testimonianza cristiana, la fantasia della carità, la capacità di dare speranza agli sfiduciati, di accogliere gli esclusi”. Una vita che “si fa dono” e sa “imitare Gesù”. “Dobbiamo amare anche chi non ci ama!” Così si oppone al male con il bene, e perdona, condivide, accoglie, scoprendo la “vera gioia”, quella di “farsi dono” per ricambiare il “grande dono che per primi” si è ricevuto, “senza nostro merito”. Per questo occorre “non dimenticare queste due cose: la misura dell’amore di Dio e amare senza misura. E seguendo Gesù, noi – con l’Eucaristia – facciamo della nostra vita un dono”.
Gian Paolo Cassano
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