LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
Giappone, inizi del 1600. La giovane Chiesa del Paese subisce una feroce persecuzione. Chi professa fede in Cristo rischia la morte e a migliaia sono uccisi, mentre i preti vengono cacciati. Nell’Udienza di mercoledì 15 gennaio il Papa ha raccontato una storia emblematica per parlare del dono del Battesimo. “Allora la comunità si ritirò nella clandestinità, conservando la fede e la preghiera nel nascondimento. E quando nasceva un bambino, il papà o la mamma lo battezzavano, perché tutti noi possiamo battezzare. Quando, dopo circa due secoli e mezzo (…) i missionari ritornarono in Giappone, migliaia di cristiani uscirono allo scoperto e la Chiesa poté rifiorire. Erano sopravvissuti con la grazia del loro Battesimo! Ma questo è grande! Il popolo di Dio trasmette la fede, battezza i suoi figli e va avanti”.
Quella comunità in Giappone sopravvisse nella fede grazie a una fiamma tenuta accesa di genitore in figlio. Questo accade da sempre: “in effetti, come di generazione in generazione si trasmette la vita, così anche di generazione in generazione, attraverso la rinascita dal fonte battesimale, si trasmette la grazia. (…) C’è una catena nella trasmissione della fede per il Battesimo, e ognuno di noi è l’anello di quella catena, un passo avanti sempre, come un fiume che irriga. E così è la grazia di Dio e così è la nostra fede, che dobbiamo trasmettere ai nostri figli, trasmettere ai bambini, perché loro, quando siano adulti, la possano trasmettere ai loro figli”.
Una storia che ha anche un altro insegnamento: chi è battezzato è per sua natura missionario. “Il Popolo di Dio è un Popolo discepolo, perché riceve la fede, e missionario, perché trasmette la fede”. Per questo serve un “nuovo protagonismo” nei cristiani di oggi, tra i quali può accadere che a essere maestro sia chi, in apparenza, venga ritenuto soprattutto discepolo: “anche i vescovi e il Papa devono essere discepoli, perché se non sono discepoli non fanno il bene, non possono essere missionari, non possono trasmettere la fede (…) E’ importante: tutti noi, discepoli e missionari!”. In questo corpo unito, in cui si entra per la “porta” del Battesimo e in cui la “dimensione comunitaria non è solo una ‘cornice'” è chiaro che “nessuno si salva da solo (…) Siamo comunità di credenti, siamo popolo di Dio e in questa comunità sperimentiamo la bellezza di condividere l’esperienza di un amore che ci precede tutti, ma che nello stesso tempo ci chiede di essere ‘canali’ della grazia gli uni per gli altri, malgrado i nostri limiti e i nostri peccati”.
Domenica 19 gennaio, all’Angelus, nella Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, (caratterizzata dallo slogan “Verso un mondo migliore”) Francesco ha dedicato una preghiera speciale a quanti vivono situazioni di difficoltà, ricordando che l’amore è l’unico modo per vincere il male e il peccato.
Infatti “non c’è altro modo di vincere il male e il peccato se non con l’amore che spinge al dono della propria vita per gli altri”, sull’esempio di Gesù che è “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, fino a morire sulla croce” ed “è il vero agnello pasquale, che si immerge nel fiume del nostro peccato, per purificarci”.
Un’immagine che “potrebbe stupire”; infatti “l’agnello non è un dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è remissivo. E cosi è Gesù … come un agnello”.
Seguirlo, essere suoi discepoli “significa mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio”, vuol dire “non vivere come una ‘cittadella assediata’”, ma “come una città posta sul monte, aperta, accogliente, solidale”, cioè “e non assumere atteggiamenti di chiusura, ma proporre il Vangelo a tutti, testimoniando con la nostra vita che seguire Gesù ci rende più liberi e più gioiosi”.
Gian Paolo Cassano
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.