LA PAROLA DI PAPA BENEDETTO
a cura di Gian Paolo Cassano
Nell’Udienza di mercoledì 9 novembre il Papa, commentando il Salmo 119, ha evidenziato come la legge di Dio non chieda di essere seguita con l’obbedienza di un servo, ma con l’ascolto di un figlio.
Ha commentato il lungo Salmo, dalla costruzione letteraria complessa, “imponente e solenne”, un canto “unico nel suo genere”, tutto dedicato alla grandezza della Torah, cioè della legge divina “che ne celebra la bellezza, la forza salvifica, la capacità di donare gioia e vita. Perché la Legge divina non è giogo pesante di schiavitù, ma dono di grazia che fa liberi e porta alla felicità”.
Una legge che rende liberi e non schiavi, che “chiede l’ascolto del cuore, un ascolto fatto di obbedienza non servile, ma filiale, fiduciosa, consapevole. L’ascolto della Parola è incontro personale con il Signore della vita, un incontro che deve tradursi in scelte concrete e diventare cammino e sequela”.
Benedetto XVI si è voluto soffermare su un versetto particolare il 57 (“Il Signore è mia parte di eredità”) “di grande importanza anche oggi per tutti noi. Innanzitutto per i sacerdoti, chiamati a vivere solo del Signore e della sua Parola, senza altre sicurezze, avendo Lui come unico bene e unica fonte di vera vita. In questa luce si comprende la libera scelta del celibato per il Regno dei cieli da riscoprire nella sua bellezza e forza”.
Per tutti è un richiamo alla “radicalità del Vangelo”, a confidare nel Signore e nella sua Parola e a vivere con Lui “nella comunione e nella gioia”, chiedendo a Dio che “ci doni di avere sempre al centro della nostra esistenza Lui e la sua santa volontà.”
Nell’Udienza il Pontefice ha espresso la propria vicinanza alle popolazioni colpite dal maltempo ed ha ricevuto anche la cittadinanza onoraria di Natz-Schabs, piccolo comune altoatesino, nella provincia autonoma di Bolzano, dove nacquero Maria Tauber e Maria Tauber-Peintner, rispettivamente bisnonna e nonna materna di Jospeh Ratzinger.
Domenica 13 novembre, all’Angelus, citando la parabola dei talenti, ha invitato a riflettere sui doni che abbiamo ricevuto. “Con questa parabola – ha detto il Papa – Gesù vuole insegnare ai discepoli ad usare bene i suoi doni: Dio chiama ogni uomo alla vita e gli consegna dei talenti, affidandogli nel contempo una missione da compiere. Sarebbe da stolti pensare che questi doni siano dovuti, così come rinunciare ad impiegarli sarebbe un venir meno allo scopo della propria esistenza”.
Ha quindi citato il commento di San Gregorio Magno: “Egli scrive: È perciò necessario, fratelli miei, che poniate ogni cura nella custodia della carità, in ogni azione che dovete compiere” (Omelie sui Vangeli 9,6). E dopo aver precisato che la vera carità consiste nell’amare tanto gli amici quanto i nemici, aggiunge: se uno manca di questa virtù, perde ogni bene che ha, è privato del talento ricevuto e viene buttato fuori, nelle tenebre”.
Poiché “la carità è il bene fondamentale che nessuno può mancare di mettere a frutto e senza il quale ogni altro dono è vano”, sarà allora “solo praticando la carità, anche noi potremo prendere parte alla gioia del nostro Signore”.
Gian Paolo Cassano
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