LA PAROLA DI PAPA BENEDETTO
a cura di Gian Paolo Cassano
“Che cos’è realmente per noi cristiani l’autorità?”: da questa domanda è partita la riflessione del Papa nell’Udienza di mercoledì 26 maggio. Ricordando il sospetto dell’uomo contemporaneo “nei confronti” del concetto di autorità (a partire dalle dittature del XX secolo), ha affermato come questa ”senza un riferimento al Trascendente, prescindendo dall’Autorità suprema, che è Dio stesso, finisce inevitabilmente per volgersi contro l’uomo”.
Ha quindi spiegato il rapporto tra gerarchia e dimensione pastorale della Chiesa. “Chi entra nel sacro Ordine del Sacramento, la ‘gerarchia’, non è un autocrate – ha aggiunto Benedetto XVI – ma entra in un legame nuovo di obbedienza a Cristo … E anche il Papa – punto di riferimento di tutti gli altri Pastori e della comunione della Chiesa – non può fare quello che vuole; al contrario, il Papa è custode dell’obbedienza a Cristo, alla sua parola riassunta nella ‘regula fidei’, nel Credo della Chiesa, e deve precedere nell’obbedienza a Cristo e alla sua Chiesa“.
La Chiesa esercita un’autorità che è servizio “nel nome di Gesù Cristo”, attraverso i suoi Pastori che sono il “tramite attraverso il quale Cristo stesso ama gli uomini”. Bisogna allora lasciare che Cristo stesso “governi l’esistenza sacerdotale dei presbiteri” che debbono avere “una disponibilità incondizionata a condurre il gregge affidato là dove il Signore vuole e non nella direzione che, apparentemente, sembra più conveniente o più facile”. Ha anche chiesto ai fedeli di pregare per lui, i vescovi e i sacerdoti: “pregate perché sappiamo prenderci cura di tutte le pecore, anche quelle smarrite, del gregge a noi affidato”.
Domenica 30 maggio ha parlato del mistero della Trinità, e del prossimo viaggio apostolico a Cipro, dalla forte connotazione ecumenica, per incontrare i rappresentanti delle Chiese mediorientali in vista del Sinodo di ottobre.
Benedetto XVI si è soffermato sul segno di Croce (citando il grande teologo Romano Guardini), con il quale si ricorda “il nome di Dio”, poiché “abbraccia tutto l’essere, corpo e anima, … e tutto diviene consacrato nel nome del Dio uno e trino”. Spesso è un segno frettoloso e indistinto sul viso, il petto e le spalle di tanti cristiani. Ma nei brevissimi istanti che servono per tracciarlo si compie un profondo atto di fede: si ricorda la Trinità divina, che sin dal giorno del Battesimo “prende dimora in noi”. Nel segno della croce ci riferiamo al mistero della Trinità che “in un certo senso, ricapitola la rivelazione di Dio avvenuta nei misteri pasquali”.
“Morte e risurrezione di Cristo – ha aggiunto – sua ascensione alla destra del Padre ed effusione dello Spirito Santo. La mente e il linguaggio umani sono inadeguati a spiegare la relazione esistente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e tuttavia i Padri della Chiesa hanno cercato di illustrare il mistero di Dio Uno e Trino vivendolo nella propria esistenza con profonda fede”.
Gian Paolo Cassano
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